La liberalizzazione della pajata
Nell’ anno 2001, a causa dell’ emergenza della Mucca Pazza, era scattato un divieto che impediva agli italiani di consumare la cosiddetta pajata, un celebre piatto della tradizione romanesca che altro non è che l’ intestino del vitello eviscerato, contenente il chino, cioè il latte.
Dopo ben 15 anni tale divieto, a seguito di una serie di scrupolosi controlli, è stato modificato ad opera di un regolamento comunitario, reintroducendo la celebre pajata nella cucina italiana, grazie al raggiungimento di una situazione sanitaria caratterizzata da una sorta di rischio trascurabile.
L’ eliminazione di tale divieto ha rappresentato un momento di grande vittoria per l’ economia italiana, soprattutto per gli allevatori, i macellatori e i ristoratori, mettendo fine ad un lungo calvario e ridando voce alla cultura gastronomica romana.
Non è possibile non citare una delle più memorabili scene del film il Marchese del Grillo in cui Alberto Sordi ordinava per l’ ospite Olimpia dei rigatoni con la pajata, lasciandoli prima assaggiare e poi confessare di cosa si trattava, attribuendo ironicamente al piatto una dispregiativo, essendo di fatto una parte poco pregiata e destinata di conseguenza ad un ceto povero.
I rigatoni alla pajata
Fin dai tempi antichi l’ alimentazione romana era caratterizzata da una cucina tipicamente contadina, con la presenza di prodotti del luogo, ed alcuni dei suoi piatti sono stati tramandati di generazione in generazione, acquistando sempre più importanza, come è accaduto ad esempio ai rigatoni alla pajata, amati molto da parte degli scortichini, che dopo aver concluso il loro lavoro nel mattatoio, ricevevano il loro salario e in più il cosiddetto quarto quinto rappresentato dagli scarti della macellazione, come ad esempio la lingua e le interiora, per poi essere cucinato presso le osterie del luogo.
L’ ingrediente principale dei rigatoni alla pajaya è l’ intestino tenue del vitello, di preciso il secondo tratto denominato digiuno, caratterizzato dalla presenza di un liquido acre denominato chilo, che va a caratterizzare il suo particolare sapore che lo contraddistingue.
Gli ingredienti secondari ma non meno importanti, in quando vanno a caratterizzare la base per il soffritto sono l’ olio extravergine di oliva, peperonicino, carota, cipolla, aglio, sedano e sale.
Il primo passo da fare è quello di tagliare a pezzi l’ intestino e, dopo aver formato delle ciambelle, lo si fa cuocere in una padella con dell’ olio di oliva extravergine per pochi minuti, aggiungendo una cipolla perfettamente sminuzzata, del sedano tagliato a listarelle, una carota ,peperoncino, un aglio in camicia da dover togliere in un secondo momento ed infine del vino, per poi lasciare tutto sfumare.
Successivamente si aggiungera’ della passata di pomodoro e si lascerà cuocere il tutto a fuoco lento per circa due ore e si aggiungerà dell’ acqua solo all’ occorrenza.
Dopodiché ci si occuperà della cottura dei rigatoni che, una volta pronti, potranno essere versati direttamente nella padella in cui è stata cotta la pajata.
Il risultato sarà un capolavoro da dover assaggiare almeno una volta nella vita per apprezzare la tradizione culinaria romana e rivivere le emozioni della Roma antica.
Mille modi per cucinare la pajata
La pajata è molto conosciuta in tutto il mondo in abbinamento ai tradizionali rigatoni, un fantastico primo piatto, nutriente e gustoso in ogni momento dell’ anno.
La pajata può essere gustata anche in altri modi, ad esempio per quanto riguarda i secondi piatti può essere preparata in umido, senza eliminare la presenza di alcuni ingredienti usati per la preparazione della pajata con i rigatoni quali le carote, il sedano, la cipolla, il vino bianco e la passata di pomodoro.
Anche in tal caso occorre legare a forma di ciambelle i pezzi dell’ intestino per poi friggere una cipolla, una carota, del sedano, tutto finemente tritato, in dell’ olio extravergine di oliva, sfumare il tutto con del vino bianco e aggiungere dell’ acqua e della passata di pomodoro.
Anche la pajata di vitello arrosto è un piatto eccellente della gastronomia romana, in cui domina la presenza dello strutto che viene usato per ungerla e poi cuocerla sulla brace, rispettando un tempo di cottura corrispondente ai 30 minuti su ambedue i lati al fine di ottenere un risultato perfetto.
Inoltre, in tal caso, per evitare una possibile disidratazione, è preferibile aggiungere del sale e del pepe a fine cottura.
Per concludere non è possibile non citare la pajata al forno con patate aromatizzate, apprezzabilissima soprattutto se gustata calda, appena sfornata.
ome possiamo notare la gastronomia romana ha trasformato un alimento di origini povere in un alimento capace di rendere eccellente ogni tipo di ricetta, entusiasmando ogni genere di palato.