La storia e la tradizione dell’olio di oliva italiano: eccellenze e curiosità

L’oro verde, come viene anche chiamato l’olio d’oliva, costituisce da sempre una ricchezza per i popoli che lo producono e lo consumano.

Prime testimonianze dell’esistenza dell’albero di olivo risalgono a tempi lontanissimi. Ritrovamenti e indagini archeologiche lo segnalano in Israele, a Haifa, già dal V millennio a.C. e in Grecia e in altri Paesi mediterranei dal IV millennio a.C.

L’importanza della pianta, ma soprattutto dei suoi frutti, viene celebrata proprio dalla mitologia greca, che la rende parte di una sfida tra Atena e Poseidone per diventare Dio dell’Attica. Mentre Poseidone crea per gli ateniesi il cavallo, per renderli più temibili in battaglia, Atena fa nascere, dalla sua asta scagliata sul terreno, la pianta di olivo. Sarà lei a vincere la sfida, perché portatrice di un simbolo di pace e di sussistenza.

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L’olio nelle civiltà antiche

Nelle rappresentazioni artistiche greche, l’olio è spesso presente, all’interno di giare panciute che lo conservano da contaminazioni e ne sottolineano la preziosità. Infatti, l’olio non viene utilizzato esclusivamente a uso alimentare, ma è impiegato nelle cure di bellezza, nell’attività ginnica, nei massaggi e anche ai funerali.

Ippocrate, nel suo codice omonimo, ne segnala circa 60 utilizzi medicamentosi.

Presto tutti i popoli più votati alla navigazione diventano i portatori di uno dei prodotti più importanti e versatili al tempo esistenti, rendendo inarrestabile la sua diffusione. Intorno al VII-VIII secolo a.C., Cartaginesi e Fenici raggiungono le coste della Spagna. Dai numerosi scambi, prende il via anche la coltivazione dell’olivo e, di conseguenza, la grandissima produzione olearia dell’Andalusia.

Continuano a prosperare, poi, le coltivazioni in Turchia, in Israele e in gran parte della costa nord-africana.

L’olio è componente indispensabile nella tavola e acquista un ruolo sempre più importante nelle cerimonie religiose.

L’arrivo in Italia

Le prime testimonianze di presenza di piante di olivo in Italia risalgono al 3500 a.C., soprattutto nel Salento, area estremamente favorevole alla loro coltivazione. La diffusione nella forma di olio risale invece al VII secolo a.C.

Le giare piene giungono nella penisola grazie ai commerci di Fenici e Cartaginesi con le popolazioni etrusca e italica. Con l’olio d’oliva arrivano anche le sue modalità di produzione, di lavorazione e di conservazione, che ne faranno uno degli elementi imprescindibili dell’alimentazione locale.

Con la nascita di Roma, la produzione di olio esplode. Si perfezionano le mole, utilizzate già dai Greci, ottimizzando l’estrazione del succo e l’eliminazione dei noccioli amari.

Ma i Romani sono esigenti, quindi nasce una classificazione dell’olio, che vede come migliori quelli del Salento, di Sibari e Taranto nel meridione, del Piceno, della Sabina e di Venafro nel centro, e in Liguria per l’Italia settentrionale.

In particolar modo, prorompe la produzione pugliese. Le piante, introdotte dai Greci, si moltiplicano e per i Romani l’olio del Salento diventa uno dei più diffusi e apprezzati.

Crisi e rinascita medioevali

Nell’Alto Medioevo, la distruzione delle campagne e la loro conversione a pascoli impoveriscono moltissimo la produzione di olio. I vasti appezzamenti e le cure necessarie a far crescere piante sane e resistenti vengono meno e bisognerà aspettare il XII secolo d.C. perché gli ordini monastici ne reintroducano la coltivazione e la lavorazione, e l’olio ottenuto viene usato con parsimonia.

Prima di tutto i monaci lo destinano ai cerimoniali religiosi, come battesimo, cresima, nomine a cavalieri ed estrema unzione, quindi all’alimentazione delle luci sugli altari.

Solo i ceti più ricchi possono permettersi un uso culinario quotidiano, mentre agli altri, soprattutto in Italia settentrionale, rimangono, come grassi da cucina, il burro, il lardo e lo strutto.

La via verso la consacrazione

Il XVI e XVII secolo rappresentano un altro periodo critico per la produzione dell’olio. Guerre e conseguenti devastazioni dei campi portano una produzione scarsa e di qualità scadente. Ci sono però realtà che riescono a emergere, e sono le coltivazioni sarde e toscane. Soprattutto in Toscana, il granduca Cosimo I lancia una campagna di incentivi per chi decide di avviare un oliveto.

Nel XVIII secolo il consumo di olio di oliva ha un’impennata; si utilizza in cucina, ma si utilizza anche nel settore tessile, nella lavorazione della lana, nelle fabbriche di sapone e per uso medico. Dal nord Europa la richiesta di olio italiano è in crescita continua.

Le produzioni ripartono con slancio in Italia meridionale, soprattutto in Puglia, con un olio robusto e intenso prodotto nel leccese, che si rivela complementare all’olio ligure, dal profumo e sapore delicato (e con un’ottima politica di detassazione).

Nel XIX secolo la produzione continua a crescere, ma nella seconda metà del secolo, a causa di una crisi climatica, gli alberi vengono abbattuti per farne legna. Nel XX secolo la produzione continua a stagnare, complici il successo di grassi animali, considerati più pratici, e il diffondersi dello stereotipo dell’olio come ingrediente rozzo. Bisogna aspettare gli anni ottanta per un rilancio in grande stile, e da allora l’olio di oliva non trova che conferme, di bontà, di eco-sostenibilità e di effetti benefici dovuti all’apporto importante di acidi grassi monoinsaturi, polifenoli e vitamine.